tre Settimane tre Case tre Persone
Goshen, l’arrampicatore che ha paura del suo silenzio e accende la radio ancor prima di lavarsi il viso la mattina.
Kari, la ninfa della foresta pluviale che ipnotizza e rasserena, straordinaria come l’acqua piovana che sta delicatamente scivolando nelle terre bruciate dell’outback.
Paddy, il chitarrista cresciuto nella prima comunità di permacultura al mondo e che guada i torrenti con le infradito e un pitone in mano.
Il mondo di Goshen mi ricordava molto la contea degli hobbit e lui il suo Bilbo. Un ometto minuto, che salterellava tra una pianta di lemongrass e un alveare, con una timidezza scorbutica che spesso ci annodava in silenzi faticosi ma che alla fine ci ha regalato un abbraccio sincero. Goshen non fingeva e la confidenza, che in sette giorni siamo riusciti ad avere con lui e suo figlio, ci ha fatti sentire fortunati.
Dopo una settimana siamo finiti nel regno fatato di Kari, un luogo in cui il tempo scorre più lento e lei riesce a stare al ritmo degli alberi che le circondano il nido. Kari è una grande custode di ogni momento, vive con una cura e gratitudine ammalianti. Mi sentivo quasi librare quando la guardavo vivere la sua quotidianità.
Infine siamo arrivati da Paddy, che per una assurda coincidenza era amico di Kari. Lui un gigante gentile con le unghie lunghe per suonare la chitarra. Ci ha fatto lavorare nel suo santuario dove sperimenta la permacultura, ed eravamo costantemente circondati da vita. Abbiamo visto un ornitorinco nuotare nel ruscello sotto casa sua, abbiamo preso qualche zecca che lui si strappava con le mani e poi mangiava, abbiamo visto due pitoni probabilmente innamorati, abbiamo sentito cantare decine di kookaburra e visto volare tantissimi pappagalli. Ci ha portato ad un suo concerto e siamo finiti ad un rave in cui un quarantenne festeggiava il compleanno.
Abbiamo viaggiato dentro la quotidianità di tre persone che ci hanno accolto nelle loro case e noi li abbiamo accolti nella nostra vita. Ci hanno permesso di assaporare momenti ordinari in contesti straordinari, imparare le abitudini di perone sconosciute e renderle nostre per una settimana. Adattarmi con cura alla vita di persone così diverse mi fa percepire fortissima, mi sento capace di adattarmi e meravigliarmi senza mai affondare nella buia abitudine.
Stiamo scoprendo questa terra, cioè la stiamo spogliando di quel velo che la rende distante, stiamo viaggiando. L’abbiamo vista splendere alla luce del Sole, addormentarsi, l’abbiamo vista nascere di nuovo e l’abbiamo vista arrabbiata. Viaggiare credo voglia dire riuscire a crearsi uno spazio in cui si ha tempo di pensare, annoiarsi, sorprendersi e trovare il modo di adattarsi, per poi farlo diventare uno spazio di ricordi vissuti. Vivere una terra e farsela presentare da chi ha deciso di renderlo casa propria è il modo migliore per spogliarla da quel velo. Ed immediatamente crolla l’armatura di certezze che ha sempre avuto casa mia, la rivaluto, la percepisco potenzialmente non immobile e soprattutto la sento sintonizzarsi su frequenze sconosciute. Sarà bello tornare e vederla saturata di tutti i colori che mi hanno tinto gli occhi in questi mesi.
Tanti abbracci straordinari.
Bianca
La parte più difficile di viaggiare è: RACCONTARE! Ma che bello è quando si riesce a trovare le parole giuste…viaggio con una facilità incredibile ad ascoltare questi pensieri che scorrono. Siete preziosi 🍀
Scrivi senza fronzoli andando al cuore dell'esperienza ❤️